Da quando WhatsApp è stata acquisita da Facebook si sono alternate
una serie di voci in rete, più o meno allarmanti su come sarebbero cambiate le
cose. La preoccupazione principale era che i dati che ci saremmo scambiati via
WhatsApp li avremmo ritrovati su Facebook in barba alla privacy. O che si
saremmo ritrovati vittime di fastidiosissimi messaggi pubblicitari. E qualcuno spingeva
i lettori a migrare su altre app di “messaggeria”.
In realtà anche io mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto e
ho tenuto d’occhio il blog di WahtsApp per capire quando avremmo saputo di che
privacy saremmo morti. Finalmente, il 17 marzo il CEO di WhatsApp, Jam Kaum ha
pubblicato un post
per smentire queste voci. Quello che
dice fondamentalmente è che l’acquisizione da parte di Facebook non sarebbe
avvenuta se questo avesse significato stravolgere i valori dell’azienda. La privacy degli utenti, quindi, rimarrà cruciale
come sempre. Racconta anche della sua vita in Ucraina ai tempi in cui qualsiasi
conversazione veniva ascoltata dal KGB. Sottolineando che quindi “la
privacy fa parte del suo DNA”.
In effetti non dimentichiamoci che Jam Kaum spesso e
volentieri ha dimostrato di essere contrario al modello di guadagno basato
sulla pubblicità. Uno dei suoi
post
più famosi in merito recitava: Advertising
has us chasing cars and clothes, working jobs we hate so we can buy shit we
don’t need. (Tyler Durden, Fight Club). Che ci piaccia o no, lo
ha sempre detto.
Questo non significa che in futuro le cose non possano
cambiare. Oltretutto rimane il fatto che WhatsApp è spesso oggetto di attacchi
da parte dei cybercriminali (fonte larepubblica.it)
e non è sicuramente l’acquisizione da parte di Facebook a doverci preoccupare.
Dovremmo probabilmente adottare un ottimo antivirus anche per i nostri smartphone,
soprattutto per quei telefoni con sistema operativo Android visto che solo a
gennaio del 2014 sono state individuate 10 milioni di app nocive per Android (fonte
Kaspersky Lab).
Tutto vero. Anche se davvero volessimo tenere per noi le
nostre conversazioni, dovremmo probabilmente adottare il metodo della mamma di
Jam Kaum: “This is not a phone
conversation; I’ll tell you in person.” Questa non è una conversazione da fare al
telefono. Te lo dirò di persona. Che magari è anche più bello.
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